Tutti noi dobbiamo tanto ai medici. Quante volte ci siamo rivolti a loro pieni di paure, di domande, di richieste di aiuto. E loro lì, sempre pronti a sacrificarsi, a impegnarsi, a darsi da fare per aiutarci. Ma anche i medici sono esseri umani e a volte, magari perché fanno turni stressanti, magari perché le strutture sanitarie in cui operano vengono gestite male, magari perché non sono sereni in alcune valutazioni, sta di fatto che anche loro a volte sbagliano. E l’errore di un medico, la disorganizzazione di una struttura sanitaria, la mancanza delle giuste informazioni sono spesso causa di eventi che distruggono la vita di altre persone o di intere famiglie. Una vita rovinata non si può restituire, ma un giusto risarcimento può alleviare le condizioni di vita ormai alterate da quanto accaduto. Ecco alcune situazioni che ci siamo ritrovati a gestire:
Giulia M.
Quando a sedici anni, a una bella ragazza, piena di vita, amante dello sport, viene diagnosticata una scoliosi, c’è poco da pensare: un piccolo intervento di correzione e tutto andrà a posto. “Ho una vita davanti e voglio viverla come si deve” diceva Giulia il giorno prima dell’intervento alla colonna vertebrale. “Stai tranquilla, in questo ospedale di interventi come il tuo ne facciamo a centinaia” disse il medico alla ragazza. “Avvisa i tuoi amici che la settimana prossima potrai andare in discoteca”. Gli amici di Giulia erano tutti lì, in attesa di vederla uscire dall’Ospedale sorridente e entusiasta come sempre. Ma il loro sorriso si smorzò appena la videro varcare la porta in vetro dell’Ospedale. Quel chirurgo aveva lesionato il suo midollo spinale e non c’era ormai più niente da fare: sedia a rotelle e catetere per tutta la vita. Aveva sedici anni e tanta voglia di vivere. Ora ha due ruote al posto delle gambe.
Sergio C.
Sergio era un ragazzo di 18 anni in un paesino di montagna. Amava lo sport, le moto, la discoteca, le belle ragazze. Un giorno era andato a trovare un amico in motocicletta in un paese vicino, quando una meledetta buca, in una curva, gli fece perdere il controllo del veicolo mandandolo fuori strada. Tutti gli sconsigliarono di farsi operare il braccio, andato in frantumi, nell’ospedale della sua provincia: era molto meglio andare il quel famoso ospedale di quella città del centro Italia dove vanno ad operarsi i VIP. Quando il primario si rese conto che aveva davanti non un VIP ma un ragazzo che veniva da un paesino di montagna, seppe sviare quell’intervento ad uno dei tanti giovani medici nuovi arrivati. Non si sa perchè, ma la placca metallica che fu applicata a quell’omero era infetta. Sergio passò due anni d’inferno: quell’infezione impedì a quell’osso di ricalcificarsi. Nuovi lunghi ricoveri, cure, interventi. Sergio si salvò solo quando il primario ortopedico di un grande ospedale del nord decise di prelevargli un pezzo di osso dall’anca e trapiantarlo nel braccio. Certo, è stato fortunato, ma chi ridarà a Sergio i due anni persi a scuola, gli amici che nel frattempo se ne sono andati, la ragazza partita per l’università. E quel braccio che, solcato da bruttissime cicatrici, oggi è più lungo dell’altro!
Paolo F.
Era una sera di festa in casa di Paolo: tutti in casa sua, parenti ed amici, per festeggiare i suoi 40 anni. Ma quando uscì la torta con le quaranta candeline qualcosa non andava. Un leggero dolorino al petto, che gli impediva di respirare bene. Non è niente, può capitare” dicevano i parenti. Ma lui volle andare in pronto soccorso. “ Ma state scherzando?” disse la dottoressa che lo ricevette. “Sicuramente è un colpo d’aria. Prenda un antidolorifico”. “Ma io ho dolore e non riesco a respirare”. "Invece di festeggiare, si faccia una bella dormita e passerà tutto”. Non un esame, non un elettrocardiogramma, non una visita. Solo parole. Paolo tornò a casa, prese l’antinfiammatorio che gli era stato consigliato e si mise tranquillo. Passarono un paio d’ore, ma la situazione non migliorò, anzi… Tornò al Pronto Soccorso, dove la stessa dottoressa, scocciata per quella presenza, lo riproverò “Le ho detto che deve mettersi a letto e stare tranquillo. Passerà”. “Dottoressa, ma gli faccia almeno un elettrocardiogramma. Sta male”. “Il medico sono io e so quello che faccio” rispose la dottoressa. “Comunque, aspettate in sala d’attesa e vediamo di organizzarci”. Cinque, dieci, quindici minuti... Basta, non ne servirono altri. Paolo morì nella sala d’attesa del Pronto Soccorso. Non era un malessere dovuto a un colpo d’aria, ma un infarto. Se solo gli fosse stato fatto un elettrocardiogramma al primo accesso in ospedale, sarebbe sopravvissuto...